I clicli – Week end

Ciclo WEEK END – UN NUOVO LIRISMO ITALIANO

C’è posto e avvenire, oggi, per il lirismo di chi dipinga immagini della vita quotidiana dentro un mondo a lui ostile? Con questi suoi quadri Franco Mulas risponde che c’è posto e avvenire purché il lirismo prenda in sé un sentimento collettivo e divenga forma dell’eros di un uomo che voglia veramente vivere e comunicare ciò che sente dentro questo nostro mondo ostile.

La luce che Mulas dipinge è la luce della domenica italiana. Il verde è il verde della domenica italiana con alcuni milioni di uomini dentro la “600”, la “850”, la “124”. Qualcosa, però, di questa luce e di questo verde viene pittoricamente da più lontano, diciamo da un lontano-vicino. Penso all’erba delle domeniche americane odiate-amate da Ben Shahn, e pure ai suoi giochi di bambini nella città; a quadri come Dipinto di domenica del 1938 e Pretty girl milking cow del 1940, come Ragazza che salta la corda del 1943 e Beatitudine del 1954.

Penso, più esattamente, all’erba di un prato del Texas o di Long Island dove si asciuga i capelli la bambina inserita da James Rosenquist in F-111 il grande quadro “pop” dipinto nel 1965.

Il formidabile quadro di Rosenquist (per Mulas era una conquista plastica così esatta da costringerlo a rivedere i propri mezzi pittorici) fu presentato a Roma, nel novembre 1966, dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Proveniva dalla galleria Leo Castelli di New York dove era stato acquistato dal collezionista di ” Pop art ” Robert Scull per la somma dichiarata di 60 mila dollari. Il dipinto di Rosenquist, chiamato F-111 dal nuovo caccia bombardiere (quello che i nordvietnamiti fanno sistematicamente cadere) dell’aviazione statunitense, misura 28 metri di lunghezza e circa 3 di altezza; si compone di 51 pannelli ed è articolato su quattro pareti.

Non passò invano per Mulas, come per altri giovani romani, anche l’intervista rilasciata da Rosenquist a G. R. Swenson della Partisan Review e che era ristampata nel cataloghino romano.

Credo, anzi, che la semplice trascrizione di brevi parti di quella preziosa intervista, oggi che la pittura di Mulas va per una strada più sua, serva a chiarire la lenta maturazione di alcuni suoi pensieri di pittore che, dopo avere liberato questo lirismo italiano, ora si sono depositati al fondo con altri, a fare da fondamenta a un modo di vedere e a un modo di dare forma alla vita quotidiana.

– Swenson: “Che cos’è l’F111?”.

– Rosenquist: “E’ uscito adesso, l’ultimo caccia bombardiere realizzato a tutt’oggi 1965. Il prototipo costa molti milioni di dollari. C’è gente che programma la propria vita realizzando questo bombardiere, nel Texas come a Long Island. Un individuo che abbia un contratto con la ditta che costruisce l’apparecchio ci programma così il quinto figlio come la terza automobile:, un tecnico ha per un’impresa del genere lavoro assicurato per un paio d’anni almeno. Poi l’idea iniziale si amplia, si inventa qualcos’altro e quell’aereo appare già superato. La spinta più evidente è stata quella di dare lavoro, uno strumento economico. Ma al di là di ciò si tratta di una macchina da guerra “. .

– Swenson: “Che cosa pensi dell’uomo che costruisce l’F111?”.

– Rosenquist: “Poveretto, è un fuorviato. C’è un sacco di gente che viene trascinata in un certo tipo di vita, ci si trova coinvolta e spinta giorno per giorno in una falsa direzione “.

– Swenson: “Che cosa hai cercato di realizzare con quest’opera?”.

– Rosenquist: “Penso ad essa come ad un faro di un aeroporto. Un uomo su un aeroplano che si stia avvicinando al fascio dì luce di un aeroporto, può darsi che voli spostato di venti o trenta miglia dalla rotta, però continua ad essere nel fascio. Mano a mano che si avvicina al suo obiettivo può ridurre il divario perché il fascio si restringe, magari si trova soltanto una o due miglia fuori rotta, e così via fino a quando egli vi si infila giusto dentro – ed è arrivato. Ciò che sta’ dietro l’opera è in rapporto con una quantità di gente che tutta si dirige grosso modo verso lo stesso obiettivo… “.

– Swenson: ” Dirette verso che cosa?”.

– Rosenquist: ” Verso qualcosa come una luce accecante, come la falena che va a sbattere contro una lampadina… L’immagine che la tecnologia mi offre in questo momento è che prendere una posizione – in un dipinto per esempio – su un qualsiasi elemento umano sembra quasi prendere posizione su una catena di montaggio: al momento che ti sei fissato su un problema o su una idea, ecco che l’accelerazione della tecnologia – più altre cose – ti avrà inghiottito giù per la catena di montaggio. E perciò il dipinto è come un tributo offerto da parte mia – la parte dell’idea – all’altra parte – la parte della società “.

Certo, l’Italia non produce l’F-111 può soltanto ospitarlo, nei suoi aeroporti, ma produce la “600 ” e il discorso di James Rosenquist – programmazione di figlio e automobile; industria e guerra; gente trascinata come falene verso la lampada, idee e azioni sparse che convergono come sul fascio di luce di un aeroporto; la posizione umana che si assume e subito viene inserita nella catena di montaggio -resta valido e attuale.

Credo che si possa dire che questi quadri di Franco Mulas sono o vogliono essere dei tributi di pittore, dalla parte delle idee all’altra parte, alla parte della società. Ma, si dirà, il tempo della catena di montaggio non lascia posto al lirismo (non lascia posto a nulla che non sia il gesto programmato).

Il problema reale, però da un punto di vista che non sia quello capitalista e imperialista, è se sia vita quella programmata in funzione della catena di montaggio e se abbia più ragione di esistere l’arte che si autodistrugga nella razionalizzazione di tutti i gesti umani in funzione della catena di montaggio o che si affanni scrupolosamente a prodigare i mezzi formidabili dell’esperienza plastica contemporanea per metterci tutti su quei fasci di luce degli aeroporti -di cui parla Rosenquist. A questo punto – e sono convinto che dall’Europa e dall’Italia molte altre idee e opere plastiche possono sviluppare, per offrire alternative, il discorso di Rosenquist -, spero di essere capito se parlo di un lirismo portatore di un sentimento collettivo, di un lirismo proletario che non si limita a contestare un modo di vita ma offre, e lo porta in sé, un modo di vita altro che è energia costruttrice.

A un dibattito su ” Arte e rivoluzione “, tenuto a Bologna nel 1963, ricordo che Roberto Sebastian Matta fece alcune affermazioni (era appena tornato da Cuba) che spezzavano proprio quel rapporto fascio di luceaeroporto di Rosenquist.

Ecco: “Il concetto di arte è, oggi, una cosa molto larga e confusa: a questo proposito si può dire qualsiasi cosa di qualsiasi cosa… Per me l’arte moderna non ha “lieu”, non c’è ancora. La vera arte moderna ha avuto inizi “rivoluzionari”. Artisti come Cézanne e Van Gogh volevano senz’altro cambiare il quadro”(per così dire) del mondo, e nello stesso tempo trovare i mezzi per cambiare la loro vita, come il loro contemporaneo Rimbaud che fece un programma del cambiare la vita e del cambiare il mondo allo stesso tempo.

Oggi, al contrario, l’arte è una specie di divertimento della borghesia e quelle forme che si giustificavano nel furore della rivolta, sono diventate una cosa gratuita che molte volte non è neanche ” professione “.

Io mi interesso moltissimo alla ” professione ” a condizione che essa sia fatta con l’intento di comunicare veramente quel che si sente di fronte a questo mondo ostile. D’altra parte anche la parola ” rivoluzione ” ha assunto un significato equivoco: il concetto di ” rivoluzione ” mi pare si associ troppo spesso a quello tecnico di ” organizzazione ” invece di rimaner fermo al suo significato originario che è quello di cambiare la vita dell’uomo in modo che sia possibile vivere veramente insieme e che si possa stabilire una vera ” ruota “, una vera dialettica, fra la vita totale e la vita intima… Ho cominciato a fare (a Cuba) una pittura che all’inizio era pittura di furore, di protesta, perché quando uno vive in un mondo ostile non è possibile andare al di là della protesta, cosicché la manifestazione di furore si trasforma in protesta e non arriva all’amore, alla libertà. In questo senso i miei primi quadri erano un’espressione di questo caos, di questa lotta tra caos cosmos; poi, poco a poco, cominciai a sentire questa cosa nel corpo mio, a viverla nel mio corpo e così ad aprirmi al mondo.

Storicamente si vede apparire, per così dire, un’altra antropomorfia, prima totemica, poi mano a mano più aperta: questo coincide con una specie di volo-ntà fenomenologica di aprirmi al mondo e scoprirne i valori più importanti, e così scoprire anche la rivoluzione e la volontà di cambiare quel mondo, poi di ravvisare la mia propria forma. Gli ultimi quadri sono un esempio di questo conflitto tra il bisogno di cambiare il mondo e la vita degli altri, e il bisogno di cambiare la mia vita… “.

Ricordo un’altra affermazione preziosa: “Se esiste nell’uomo, come un organo, il desiderio di comunismo, se questo esiste, chissà se noí vedremo l’artista inventare cose più umane. E’ curioso che la realtà sia vista solo come catastrofe, che sia ritenuto molto più reale un incendio che le due bambine che ti prendono la mano e vanno a cercare fiori al fiume. Bisogna ravvisare la storia dell’umanità nelle epoche felici. Oggi essa cita solo catastrofi, battaglie, invasioni… “.

Credo si possa dire, sulla concretezza dei valori plastici di queste immagini della domenica italiana, che Franco Mulas ha buoni occhi per l’incendio ma un’intima e naturale tensione a ravvisare l’umanità e la sua storia nelle epoche felici.

Aggiungerei che dentro o vicino all’incendio le sue forme umane si sono bruciate la pelle fino a restare scuoiate: di qui la sua simpatia plastica per le vittime dello spagnolo Josè Jardiel e per le folle massacrate dall’altro spagnolo Juan Genovès; per le ” anatomie ” di Renzo Vespignani e per le forme umane nel paesaggio di Antonio Recalcati (dei quadri del 1965 come L’incidente. Nel verde e Figure e paesaggio). E’ vero che nei quadri di Mulas il vuoto prevale sul pieno, l’assenza sulla presenza, quasi come in certi momenti di sospensione dell’azione e di straripamento del tempo usati da Antonioni in Blow up ma anche da Fellini in Otto e mezzo. Eppure quel vuoto spazio è come un fotogramma, una scrittura di luce, che esiste soltanto come spazio per l’evidenza, nell’apparizione, della figura umana: è il prigioniero di Jardiel che viene trasferito da un campo a un altro, è la folla prima e dopo il massacro che lo zoom di Genovès blocca, è l’uomo scuoiato di Vespignani che ha da essere riconosciuto e schedato; è l’uomo mummificato della domenica di Recalcati che, bucato come una scultura di Moore, se ne va’ senza un grido… verso il suo lunedì.

E’ l’uomo di Franco Mulas che corre impazzito sull’autostrada o alza aquiloni e va coi figli verso il fiume a cogliere i fiori cari a Matta. Figli meno impauriti e più sanguigni e plebei di quelli che “abitano” con i giochi lo spazio dell’estate di Cremonini.

Franco Mulas aggiunge suoi originali fotogrammi al film ” montato” dai pittori che ho ricordato, particolarmente nelle serie dei “Week-end” e in “Incidente sull’autostrada”: dice veramente ciò che sente di fronte a questo’nostro mondo ostile (la percezione violenta di tale ostilità caratterizza il dare forma di Franco Mulas rispetto a quello di altri giovani romani come Sarnari, Cintoli, Guccione, Tornabuoni, Drago, Mattia, Guiotto, Turchiaro, Calabria), Mulas, però, è felice di lasciarsi prendere per mano e andare verso il fiume, di tendere la mano e la fantasia a ciò che è giovane, così ravvisando la storia nuova della umanità nell’epoca felice da costruire di cui parla Matta. Ed è appunto la liberazione di energia plastica nella tensione caos-cosmo-protesta amore, che può alimentare lo sviluppo di un nuovo lirismo italiano.

Dario Micacchi