Walter Pedullà

“L’Avanti”

Per chi si occupa specificamente di letteratura è. ancora in vigore l’interdetto degli artisti a non sconfinare mai nel loro territorio. Nel passato debbono aver combinato un sacco di guai, se c’è stata la denuncia per tutti i letterati; che invero sono pronti a scrivere di tutto, con la scusa che ogni modo di scrivere è sottoposto alla loro giurisdizione.

In questa nostra epoca in cui è cosi massiccia la restaurazione di classici è concesso persino di ricordare a modello di comportamento quello del celebre aneddoto di Apelle: il pittore greco che, grato al calzolaio che gli aveva fatto notare un errore sui buchi per le stringhe, lo blocca quando questo, incoraggiato dalla correzione apportata dall’artista, sale a cercare l’errore oltre la scarpa. E insomma da oltre duemila anni che ci si intrufola indebitamente nelle arti figurative per dare interpretazioni ed esprimere giudizi. Da questo però si capisce che, se dinanzi a un quadro non riesce a stare zitto uno scarparo figurarsi se ce la fa un critico letterario. Riuscirò a non andare “oltre la letteratura?”,

Nel nostro caso, e cioè la mostra di Franco Mulas alla Galleria Ca’ d’Oro di Roma, c’è pure la letteratura delle presentazioni del catalogo, quella specifica di Renzo Vespignani, che è quel grande pittore che è, e quella invadente e intelligente di Vincenzo Consolo, che è lo splendido autore de Il sorriso dell’ignoto marinario, dunque un romanzo, insomma un letterato. Questo sarebbe un motivo di più, anzi due, per tacere; ma invece me ne è venuto incentivo, stimolo, provocazione e tentazione. So che è un peccato, e forse è un peccato che io l’abbia fatto, ma io mi sono sentito trascinare a dire la mia. Come il calzolaio di Apelle. Se non altro non sono io il primo scarparo della critica d’arte.

Avendo messo le mani avanti, ora posso azzardare un discorso. Farò ancora di più: proverò a scrivere il racconto della mostra come l’ho fatto al pittore nel suo studio. Franco Mulas stette a sentire ma non si pronunciò. Fai tu, è affar tuo: che poteva essere un invito a farmi gli affari miei e non farci tante parole. Il pittore è di quelli che non ne fa quasi, e si limita a dire che lui ha dipinto i quadro uno dopo l’altro ma senza pensare a legarsi in una qualsiasi narrazione. Non poteva dire nemmeno cosa significavano tutte le immagini chiaramente simboliche che sembrano fatte apposta per essere interpretate all’infinito, secondo loro antico statuto. Facessimo noi, era un affare nostro, anche se è un affare pure per lui che se ne parli, magari a sproposito. Forse il mio è un racconto “a proposito di … “. Che è sempre un modo illecito di intromettersi nei quadri degli altri. Vedrete, verrà anche a voi, calzolai operai impiegati che siate, di dire la vostra. Mulas vi lascerà dire qualsiasi cosa vi passerà per la testa mentre guardate le sue opere.

Provo a fare il cicerone per guidarvi in questa mostra in cui io ho individuati quattro stadi.

[ … ] … Dopo avervi raccontato il romanzetto rosa della mostra di Mulas, posso indicarvi il quadro per il quale più forte è la tentazione di fare letteratura, anzi persino cultura, al di là della cultura che specificamente questa pittura coinvolge col suo linguaggio (che sembra improntato alla glorificazione manieristica del “classico” di cui si hanno riscontri espliciti pure nella narrativa e nella poesia d’oggi. Si intitola “Isola n. 2” e raffigura un pietroso o marmoreo tronco di donna che suona la viola in mezzo a un cataclisma che ha ridotto tutto a rovina e che fra l’altro ha spezzato, “isolandola”, la statua della violinista. Costei ha conservato il volto estatico che forse aveva nel momento in cui si è prodotto il terremoto o altra conflagrazione naturale o storica.

È colpevole la violinista di non aver lottato per impedire la distruzione totale dell’umanità? È colpevole ora per il fatto di restare indifferente dinanzi allo spettacolo di un mondo in preda a fuoco e fiamme? Non c’è polemica e forse non c’è più nemmeno senso di colpa. La tragedia è irreparabile e forse va solo registrata, forse consolata con un po’ d’arte. Mulas ha paura che sia veramente finita l’epoca della protesta e che l’artista riesce appena a suonare le ultime note per se stesso. Non c’è più nessuno che ascolti la conclusione della musica della violinista prima che affondi con tutto il resto.

O la violinista dimezzata è l’unica speranza di armonia che oggi il mondo offra? È l’arte che sta covando qualcosa che rischiara il paesaggio del quarto stadio? Forse non è vero per tutti ma per l’isolato Mulas è la sua speranza. La certezza è invece che Franco Mulas è uno straordinario pittore (certo non perché lo dico io, ma perché lo dicono tutti i critici d’arte).

Lo dico io, sapendo di andare oltre la scarpa. Non si tratta di piedi, anche se è chiaro che Mulas farà molta strada, ma piuttosto di mani, che sono di una abilità da prestigiatore. Se infine posso spingermi ancor più in alto, aggiungerò che nella sua pittura c’è una prepotente fantasia; ma qui mi fermo, perché non vorrei che gli si rizzassero i capelli a leggere tanti giudizi non pertinenti all’arte figurativa.

Walter Pedullà, 1985