I cicli – Identikit

IDENTIKIT

Immagini di un sottosuolo della nostra esistenza e della nostra storia, questi quattro flash in sequenza sono stati dipinti come stupefacenti apparizioni nel buio e vanno visti in una ricostruita stanza-sotterraneo con luci proiettate.

Sono quattro autoritratti rigidamente frontali (bizantini) sotto lo scivolo di una luce bronzea e livida, e costruiti dagli occhi in giù con tre tasselli al modo che viene costruito, seguendo le segnalazioni dei testimoni, l’identikit di polizia.

Lo spettacolo dell’angoscia dilaga dagli occhi disperati e stupefatti, sgranati sul nostro presente di violenze, di delitti spettacolari, di terrorismo occulto ma spettacolare e recitante. Ma la novità vera e primaria non sta soltanto in questo stupore bensì nella pittura, nella sua tecnica, nella sua forma che fanno nascere una domanda: pittore, oggi, tu chi sei?

Franco Mulas ha sentito l’inutilità di tanta pittura figurativa abitudinaria e la mostruosità morale di una ” cucina ” pittorica che ti offre sempre il suo piatto, o il piatto che tu desideri, ben cucinato comunque vada il mondo.

Nemmeno i nuovi e nuovissimi modi di far pittura postavanguardistici gli hanno dato la benché minima consolazione. Ha cercato una vera, autentica necessità della pittura rimettendo duramente in discussione la propria collocazione nella vita e allo stesso tempo verificando la resistenza della pittura, forme e significati, sulla realtà più tragica di quello che potrebbe essere detto un dostoievskiano sottosuolo della storia. Con questi ritratti in sequenza di identikit si è calato, con immobilità neometafisica, dentro la violenza alla ricerca della propria identità di pittori. Sono in tanti i pittori a correre in tutte le direzioni lontano dal presente, ma quanti si vanno interrogando su se stessi? sull’unità pura e assoluta di esistenza e pittura?Il colore di questi dipinti è cristallino e costruisce, in uno spazio oppressivo vibrante di piccoli e fitti tocchi filamentosi, una forma di una chiarezza pietrificata. I tasselli dell’identikit svariano dal giallo malinconico e dolce all’azzurro metallico e duro e al rosso tragico e furente fino all’apparizione alla luce della lampada solare che li contiene tutti. Gli occhi sono di una suggestione ipnotica, fanno da ponte tra il dentro e il fuori con una trasparenza stupefacente di cristallo. La costruzione analitica dell’identikit porta a una dolorosa coscienza dell’abisso ma anche a un pietrificarsi della forma della resistenza umana e della sua durata nel tempo lungo della coscienza. Vengono in mente i petrosi ritratti di Giorgio de Chirico con la scritta “et quid amabo nisi quod enigma est?” e gli autoritratti di Otto Dix impietrito da quel che vede nella Germania degli anni Venti (attraverso loro si arriva a certi ritratti di più pura e ” tattile ” evidenza esistenziale – di flagranza dell’esistente direbbe Cesare Brandi – del Quattrocento tra Antonello da Messina Giovanni Bellini e Piero della Francesca).

Dal terribile giuoco dei tasselli sul volto viene un monito: uno spostamento minimo che la persona non c’è più, risucchiata tra mille altri volti. E così è anche della pittura: capace di nuovo stupore per la realtà ma sospesa al filo atroce del coinvolgimento individuale nella necessità esistenziale e storica.

Dario Micacchi, presentazione alla mostra “Arte e critica 1981” – Roma, Galleria Nazionale di Arte Moderna