Dario Micacchi

“L’Unità”

…Per due anni Mulas ha fissato occhio e pensieri su una figura di vecchio ignudo G’uomo esiste davvero ed è o un guardamacchine o uno “stracciarolo” romano) che è il protagonista assai ambiguo di tutti i quadri. Il vecchio ha un corpo di giovane e con una compattezza anatomica che non accenna a disfacimento. La faccia, più plebea che popolana, è la spia psicologica di tutto questo ciclo che porta il titolo “itinerari”. Faccia di umiliato e offeso, di vittima ma anche di clown la cui degradazione umana è tale da essere disponibile a tutto. Questo uomo se ne va in giro nudo per la città, cerca di farsi guardare, di attirare l’attenzione su di sé, si versa sulla testa un barattolo di vernice azzurra e si siede in un tram, in una sala d’aspetto di azienda, oppure si presta ad essere esposto, come opera d’arte – e qui la polemica di Mulas contro l’iperealismo e l’arte del corpo (body art) è violentissima – in una galleria dove desta il riso.

Uomo tanto degradato da essere disponibile a tutto. Ma più di lui degradati sono altri uomini: quelli ben vestiti, dalla grinta impassibile, che leggono giornali non stampati e che ignorano quel vecchio che li provoca. Le facce di questi uomini sembrano aver subito tutte una plastica facciale e un generale travestimento che cela un che di orrido, di selvaggio, di umanamente assente. In una sola immagine il vecchio è dentro un abito e sembra un “folle” assoldato per qualche azione bestiale. Immagini di grande malinconia: se l’uomo clown si desse la morte non darebbe scandalo lo stesso. Per avere una conferma della propria esistenza deve entrare in una cabina automatica a gettone, per la strada, e fotografarsi, o vedersi riflesso in uno specchio tondo di autobus.

Mulas fa una forte astrazione pittorica sulla realtà. S’è accennato alla pietrificazione sulla linea di Otto Dix e Giorgio De Chirico e, forse, dell’americano Edward Hopper, pittore della notte della città americana. A questa pietrificazione Mulas arriva con una potente costruzione volumetrica del colore che ha ancora vitalità di carne e sangue nel vecchio ed ha, invece, un timbro grigio azzurro metallico nelle altre figure e nello spazio che è più simbolico che veristico: rimanda, in piena luce, allo spazio simbolico del Quattrocento italiano, e all’ombra caravaggesca da cui esce la figura umana come in un fotogramma.

Oltre che per l’evidenza cosi consapevole e pittoricamente costruita che è data da un certo clima italiano molto ambiguo e pericoloso, queste pitture si segnalano come un ribaltamento ideologico-formale, il primo così violento e sicuro nella generazione di Mulas, di quel nichilismo e di quella indifferenza sociale che caratterizzano l’iperealismo sia nordamericano sia italiano e il generale camuffamento che fa la body art con lo spettacolo funebre e sadomasochista del corpo o col travestimento. Mulas reagisce all’indifferenza, alla mancanza di amore e di solidarietà di un certo mondo che incassa tutto e non ha più sensi e pensieri. Non vuole averli.

Dario Micacchi, 1975